Questa è It’s Friday I’m (not) in love, una newsletter settimanale per cuori precari ma non disperati che arriva ogni domenica mattina. Se ti piacerà, clicca sul cuore, commenta o inviala ad altri potenziali (e non) cuori allo sbando. Oppure puoi offrirmi un caffè e supportare il mio lavoro. Grazie!
E ora, come sempre, schiaccia play e… buona lettura.
Delle mie estati al mare dai miei nonni, che terminavano puntualmente la seconda settimana di settembre, ricordo tutto. Soprattutto quelle serate del venerdì sera trascorse a ballare e cantare a squarciagola pezzi revival della musica italiana. Pur sapendone praticamente l’ordine di uscita, ogni volta ci scatenavamo ed emozionavamo se fosse la prima volta.
C’era solo un pezzo che cambiava i propri connotati emotivi con l’avanzare della stagione.
“L’estate sta finendo” dei Righeira era il perfetto calendario sonoro di quei mesi (mi trasferivo al mare da inizio giugno per capirci), cantata a luglio con la spavalderia di chi sa di avere davanti ancora settimane intere di avventure e divertimento e, infine, con malinconia e accettazione a fine agosto. Quello di un anno che se ne va e noi che non volevamo saperne di diventare grandi. Oggi come allora del resto.
Se c’è qualcosa che differenzia davvero il passaggio tra i vent’anni e l’età cosiddetta adulta è la perdita del senso di nostalgia estiva e di tutto quello che questa stagione rappresenta(va) per noi.
Ieri ero di nuovo a serata revival, solo a Milano, ad orario aperitivo e senza un accenno di mare nelle vicinanze, ma con la stessa voglia di ballare su quelle canzoni. E poi, appena è partito proprio quel pezzo lì mi sono resa conto di cantarlo solo ed esclusivamente per inerzia.
L’estate starà pur finendo ma non c’è più traccia di quella malinconia di un tempo, perché di base non la viviamo più come quella stagione in cui tutto era possibile. Quel momento dell’anno in cui contava solo innamorarsi davanti a un falò in spiaggia, rincorrere le albe e posticipare qualunque pensiero e responsabilità a domani. L’estate nei nostri tardi trent’anni non è più uno stato mentale, come molti si ostinano a scrivere sui social, ma più un momento di stasi, di stand-by per ricaricare le energie. Due settimane in ferie in qualche posto esotico, gli scatti per i follower, il caldo da superare, le scadenze a lavoro da continuare a rispettare.
La nostra routine che si blocca, per chi decide di andare in ferie, per pochissimo tempo salvo poi doverla riprendere in mano, riadattandola magari a nuovi propositi o a vecchie promesse.
La fine dell’estate, oggi, non coincide più con quel mondo che avevano perfettamente descritto i Righeira in pochissime strofe, perché non è più un momento di passaggio o un rito di iniziazione a una nuova fase della nostra vita. Non è più una stagione di cui avere nostalgia perché di nostalgico è rimasto molto poco a cui aggrapparci.
C’è un passaggio bellissimo che mi è capitato di leggere in questi giorni sulla newsletter della rivista Il Bestiario di Gog Edizioni, a cui ti consiglio di iscriverti (è gratuita) e soprattutto di acquistare i loro cartacei pubblicati a cadenza casuale. L’ultimo peraltro è dedicato a tutto il tema dell’eros, il precedente proprio alla nostalgia. Racconta di quello che settembre significava per tantissimi di noi: il saluto ai nonni.
“Dopo un’estate trascorsa nelle loro case bisognava ritornare nelle proprie. Ed era un saluto che aveva la forma di un addio. In macchina tra i resti di una stagione oramai terminata, mentre il motore rombava, si attendeva la loro apparizione. Talvolta tardiva che per un attimo faceva temere in una loro dimenticanza o in un’ assenza, che deludeva per poco. Ma poi entrambi, o uno solo perché l’altro era passato a miglior vita, si presentavano sull’uscio del cancello in ghisa, sul balcone di un appartamento o sul ciglio della strada e facevano un cenno con la mano, accompagnato da un sorriso stanco, che segnava una fine. Un dispiacere sconosciuto stringeva lo stomaco. Era la fine di un altro anno di infanzia, della stagione dei giochi.”
Non esagero se ho sentito una stretta fortissima al cuore mentre lo leggevo. Questa breve riflessione parla di me, di cos’era davvero l’estate tanto tempo fa, della gioia più vera di giugno e del dolore quando a settembre alzavo lo sguardo al quarto piano e vedevo mia nonna, all’epoca ormai con poca vista e ma ancora tanto, troppo cuore, agitare la sua mano verso la nostra macchina che piano piano si allontanava per diversi mesi. Che se ci penso sento il groppo in gola proprio adesso mentre scrivo.
L’estate per me non può che avere quel volto lì, quella dolcezza che non si può replicare.
E forse oggi, cantando L’estate sta finendo, non sento più una nostalgia irrefrenabile proprio perché lei non c’è più da tempo e con lei se n’è andata anche questa stagione che era quasi una vita a sé stante all’interno dei nostri anni.
Poi, certo, ci sono gli amori estivi che a sedici, diciassette o vent’anni hanno un sapore (di sale) diverso. Anche loro sono il simbolo di una stagione irripetibile, lo sappiamo tutti ma lo capiamo troppo tardi: gli amori di quella stagione, gli amori dei tuoi sedici anni sono unici nel loro genere e non li ritroverai più. Ecco perché eravamo così nostalgici, perché un altro anno se n’era andato e dovevamo diventare grandi pur non volendolo.
Forse, a conti fatti, eravamo più maturi di quello che credevamo. Sicuramente avevamo più consapevolezza del tempo che passava, sapendo bene che quell’estate vissuta come approccio alla vita non sarebbe più tornata. Ed è per questo che, forse, oggi pensiamo ancora di avere tutto il tempo del mondo davanti a noi e posticipiamo costantemente scelte e responsabilità.
Perché oggi non c’è più alcuno strappo emotivo così forte come poteva essere per tantissimi di noi quella settimana di settembre. Perché non c’è più quella mano rugosa che ci saluta, ricordandoci che l’estate sapeva essere il più severo degli insegnanti da cui imparare che esiste(va) un tempo per iniziare e uno in cui doversi separare, imparando (mai davvero) a lasciare andare e salutare.
#ItsFridayImNotInLove
💌 Modern Love
Dalla rubrica settimanale del New York Times “Modern Love” (da cui è tratta la serie disponibile su Amazon Prime)
Come scrive l’autrice del Modern Love di questa settimana, l’attrice Maria Bello, quante donne possono dire che la loro prima volta è stata fantastica?In un’estate agli sgoccioli l’attrice racconta l’incontro con l’uomo con cui aveva scoperto il sesso 33 anni prima. Oggi malato di SLA ma sempre affascinante come allora e con la stessa tensione sessuale nell’aria. Ma soprattutto la conferma di aver imparato da lui una cosa essenziale nei rapporti umani: la fiducia.
“Every person deserves a Johnnie — for their first time or anytime or every time. Someone patient and kind who is willing to hold all of you. All your broken and beautiful pieces. I couldn’t believe I was lucky enough to be loved like that.
I still can’t.”
📌 Post-it del venerdì
Single, dating, coppie e relazioni. Gli articoli della settimana per districarsi nel precariato sentimentale
Disillusi dalle app di incontri, alcuni single si rivolgono a metodi di incontro più creativi in cerca di una connessione per che possa davvero valerne la pena.
E a proposito di metodi creativi, questo è quello del momento. Virale o meno, una cosa è certa: ne sta parlando chiunque in tutto il mondo. Io però però mi sono fatta una domanda diversa: perché proprio questa è diventata simbolo del rimorchio? Spoiler: il suo significato era “leggermente” diverso rispetto a quello di questi giorni.
Ma torniamo alla dating fatigue e soprattutto al rigetto verso le dating app. Che questo possa essere uno dei motivi non mi sconvolge affatto.
“Come mamma single, il mio tempo libero è sacro: mi riempie di rabbia sprecarlo in appuntamenti sbagliati.” Una bella riflessione della cantante Paloma Faith sul tema delle app di dating e delle aspettative nei confronti delle relazioni. (Ps. di lei sicuro avrai sentito almeno una volta questo pezzo, in tema da sempre con la newsletter).
Era tempo di riprendere con i nuovi trend del mondo del dating. Ad esempio, sei stata vittima di sandcastling in una tua relazione?
🎙️ Mixtape e altre storie
Consigli (non) richiesti su come perdere tempo la sera
In settimana ho dato una chance a questa mini serie co-prodotta da BBC, per me già bollino di qualità, perché volevo chiudere la stagione estiva con un bel giallo. È tratta da un best seller che francamente non conoscevo ma che scivola via bene. La protagonista, la liceale Pip, decide per un progetto scolastico di indagare su di un vecchio caso di omicidio avvenuto 5 anni prima nella sua piccola cittadina, che ha lasciato non pochi strascichi. Se dopo le prima tre puntate credi di aver capito tutto fidati, come una matrioska tutto si risolverà solo fino gli ultimi minuti finali. Alcuni aspetti forse un po’ troppo semplificati, le indagini di Pip non beccano mai alcuna interferenza, ma è un bel thriller e l’ambientazione inglese può accompagnare solo.
È uno dei film più iconici del suo genere e quella scena sotto la pioggia è ancora abbastanza vivida nelle mente di noi adolescenti di allora. Ma come ha plasmato la nostra visione dell’amore? Peraltro quest’estate ha compiuto 20 anni e da tempo mi ripeto che dovrei rivederlo, anche solo per capire se i commenti in questo pezzo hanno ragione o meno.
Libri che ho perso e che forse, con una frase così, dovrei recuperare di corsa.
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che tenerezza, che gran dono i nonni! Ho la fortuna di avere i miei vivi e una figlia, quindi rivivo attraverso lei questa cosa. Avere figli è il miglior antidoto contro la nostalgia.