It's Friday I'm (not) in love - Issue #193
Di calendar, amicizie disperse e perimetri da ritrovare
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E ora, come sempre, schiaccia play e… buona lettura.
“Che cosa sta succedendo alle nostre amicizie? Epidemia di solitudine non vuol dire che stiamo diventando una nazione di eremiti che non hanno nessuno da invitare alla loro festa di compleanno, ma un popolo di persone si scrivono: "Dovremmo vederci" e poi non si vedono mai. Ogni amicizia oggi sembra il progetto di amicizia, allo stesso tempo la sua intenzione e il suo ricordo.”
Ho letto questo pezzo un paio di settimane fa e a distanza di tempo continuo a parlarne costantemente con amici vari. Questo perché ho trovato estremamente vera e sentito vicina la riflessione dell’autore su come oggi le amicizie (ma io aggiungerei i rapporti in generale) siano sempre più precarie.
Del forte senso di solitudine che ci pervade ne avevo già scritto tempo fa, di come di fatto si stia perdendo questo senso di comunità fondamentale per sentirsi parte di un luogo comune. In parte la risposta la ritrovo anche qui, quando scrive che una delle spiegazioni a questa precarietà relazionale con i propri amici è data anche dal fatto che “frequentiamo sempre meno le istituzioni intermedie dove si potevano trovare e coltivare amicizie in modo regolare: la chiesa, il partito, per certi versi anche il bar.” Il che, secondo un’esperta menzionata nel pezzo, contribuiva alla costruzione di un gruppo coeso di amicizie, mentre oggi la nostra vita personale è popolata da amici che non si conoscono tra di loro, rendendo quindi necessario avere più tempo da dedicare singolarmente ad essi. E qui dissento, perché basterebbe ritornare a creare connessioni in modo positivo, presentando le diverse amicizie e contribuendo quindi alla crescita delle rispettive reti sociali. Un lavoro che però, mi rendo conto, siamo sempre meno inclini a fare vuoi per “gelosia” spesso delle nostre amicizie, volendole mantenere come divise in compartimenti stagni, vuoi per scarsa capacità di gestione delle relazioni stesse.
Il quadro che ne esce fuori è che oggi, come non mai, coltivare le proprie amicizie è diventato uno sforzo individuale non da poco, in cui il principale aspetto più complesso da gestire è la logistica. Quando, dove e come vedersi. Dando vita a quel fenomeno di cui sopra, per il quale viviamo nell’attesa stessa di vederci senza mai però davvero farlo succedere.
Pigrizia? Scarso interesse? Anche qui il pezzo suggerisce, in particolare, il ruolo delle città in cui viviamo “che ci rendono allo stesso tempo iper sociali e solitari, non stiamo mai dai soli e mai a casa, ma siamo in un vuoto affettivo nessuno sembra sapere più come colmare.”
Chiaro, la colpa di una simile incapacità a coltivare rapporti non può essere esclusivamente demandata a fattori esterni, ma è molto interessante osservare come in tantissimi ci ritroviamo totalmente imprigionati in questo loop machiavellico senza capire bene come uscirne. Ne siamo perfettamente consapevoli eppure sembra sempre che lo sforzo richiesto per evadere da questa condizione sia più grande di noi.
Quel “dovremmo vederci” diventa una sorta di palliativo alla nostra incapacità di imporci su una quotidianità che sembra isolarci sempre di più dal prossimo. Una frase passe-partout per alleggerire il senso di colpa al pensiero che probabilmente ci si vedrà tra mesi.
È una condizione, peraltro, che ritrovo continuamente tra le mie amicizie più o meno intime. Millantiamo promesse di uscite, organizzazioni di eventi e attività pur sapendo che senza un reale sforzo organizzativo tutto resterà tale: una frase su WhatsApp nel migliore dei casi, o un commento a qualche IG story in cui reiteriamo la voglia, finalmente, di vederci dopo lungo tempo. Magari dopo aver controllato il proprio calendar su Google e aver trovato l’unico slot disponibile, forse dopo settimane, neanche stessimo prendendo un appuntamento per una visita medica.
Certo, il lavoro ci ha reso sempre più isolazionisti, fagocitando e invadendo la sfera prima riservata esclusivamente al nostro tempo libero. Siamo sempre più individualisti, proiettati sulla realizzazione del nostro io, in cerca di gratificazioni a tratti futili, ma necessarie per dare un senso a questa abnegazione lavorativa sfrenata che ha totalmente assoggettato noi Millennial. E non nego che da questo punto di vista ci sarebbe moltissimo da imparare dalle generazioni più giovani.
O come scrive bene l’autore del pezzo “non lo so perché ci sentiamo così, forse perché abbiamo troppi obiettivi, e gli obiettivi ci allontanano dalle persone.” È vero. Ci poniamo tanti obiettivi da raggiungere che dimentichiamo di come un traguardo senza nessuno ad attenderci non regali in fondo alcuna gioia reale. Del resto, lo disse bene Into the Wild che non esiste felicità reale se non condivisa con gli altri. Il resto è solo qualche post su LinkedIn per illuderci di essere realizzati.
Siamo tutti consapevoli di questa precarietà delle nostre amicizie eppure non riusciamo a trovare una cura efficace. E non c’è persona con cui non ne abbia parlato nelle ultime settimane che sia riuscita a darmi una qualche soluzione reale e concreta. Anche se credo che non possa essercene una universale.
Personalmente, da quanto ho letto l’articolo, ho iniziato piano piano a scrivere ad amici o conoscenze che vorrei approfondire, spingendo per quel famoso aperitivo da prenderci. Trasformare quel “vederci” in un atto consapevole e reale cercando, dove possibile, di essere parte attiva dei miei rapporti senza farmi trascinare dal tempo e dagli eventi.
Ritrovare il piacere di costruirmi un tempo libero in cui rimettere al centro la mia rete personale di rapporti, imprescindibile oggi come non mai per affrontare questi tempi mutevoli.
Ripenso a una poesia di Franco Arminio:
“Abbiamo bisogno di un luogo: ci vuole una mano, una casa, un sorriso, qualcosa che ci faccia da perimetro.” (L’infinito senza farci caso)
Oggi stiamo perdendo quel senso di sicurezza che solo uno spazio accogliente può darci. Un perimetro che non ci limiti e ingabbi ma che sia flessibile tanto da adattarsi alla nostra smania (giusta) di voler vedere e spingerci oltre l’orizzonte. Che del resto, si sa, serve avere un porto sicuro dove attraccare, qualcuno ad attenderci e a ricordarci il piacere del saper ritornare a casa.
O semplicemente qualcuno con cui confidarci una sera come tante dopo il lavoro, per ricordarci che sì, soli davvero non lo siamo mai.
#ItsFridayImNotInLove
💌 Modern Love
Dalla rubrica settimanale del New York Times “Modern Love” (da cui è tratta la serie disponibile su Amazon Prime)
Tornano le Tiny Love Stories su Modern Love, le storie d’amore “in miniatura” inviate dai lettori e di non più di 100 parole e con una foto a corredo (sono sempre bellissime per me). E che in questo caso raccontano di come la vita “si riprende sempre”, di come bisogna a volte affidarsi alle proprie fantasie o più semplicemente accettare un invito a pranzo. Tutto può cambiare rapidamente e queste storie me lo ricordano sempre.
“A nightly routine, beginning in kindergarten: I laid in bed, asking my mom, “What are we going to do today?” Not understanding when today becomes tomorrow. She drew circles on my back, detailing each activity in a singsong play-by-play as I fell asleep. Even as a teenager, I’d sometimes ask for “circles.” I now crawl under the covers next to my partner of three years, asking her to give me “circles” after long, draining days — like when I was laid off three months into my dream job. Jackie obliges, her circles reassuring me that life always comes back around. — Melanie Rosenblatt”
📌 Post-it del venerdì
Single, dating, coppie e relazioni. Gli articoli della settimana per districarsi nel precariato sentimentale
Dating Trend: rientri in quella categoria di persone che hanno la tendenza a fissarsi su chiunque mostri anche solo un minimo di interesse? Quelle per cui un semplice complimento è praticamente una proposta di matrimonio? Ecco forse il “roster dating” potrebbe fare al caso tuo.
E sempre a proposito di trend, su TikTok sta impazzando la “First Love Theory” che sembrerebbe riguardare soprattutto gli uomini. Ma è vero che il primo amore non si dimentica mai?
Nonostante le pressioni sociali, le relazioni non sono una sorta di taglia unica perfetta per tutti, eppure si continua ad accettare socialmente parlando solo un unico tipo possibile di rapporto. Quattro persone raccontano, invece, le loro relazioni non tradizionali e di come non siano mai state più felici come ora.
Dimentica lo stereotipo della triste gattara zitella. Secondo uno recente studio, le donne single risultano essere molto più felici rispetto agli uomini single. Ma quali sono le ragioni?
🎙️ Mixtape e altre storie
Consigli (non) richiesti su come perdere tempo la sera
Aspettavo Anora da parecchio tempo ed è finalmente arrivato in sala, conto di andarlo a vedere a brevissimo. Si tratta dell’ultimo film di Sean Baker, vincitore della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes è già in odore di Oscar soprattutto per l’attrice protagonista Mikey Madison. Qui trovi un bel pezzo per saperne di più.
È uscito da pochissimo Want raccolta di fantasie erotiche (vere) femminili raccolte dall’attrice Gillian Anderson, sull’onda della sua ultima serie Sex Education (su Netflix) in cui ha ricoperto il ruolo di Jean Milburn terapista sessuale e che l’ha portata a diventare confidente ideale di tantissime donne riguardo al sesso. L’attrice si è chiesta se fosse cambiato qualcosa nell’immaginario erotico delle donne e così decide di pubblicare un annuncio su un portale online: “Qualunque sia il tuo background, con chiunque tu vada o non vada a letto, che tu abbia diciotto o ottant'anni: se ti identifichi come donna, voglio sentirti”. Migliaia di donne hanno iniziato a scrivere le loro fantasie, iniziando le lettere con “Cara Gillian” e il risultato finale sono queste 350 pagine di fantasie sessuali anonime selezionate e ordinate dall’attrice in persona. Visto il tema sarà probabilmente la mia prossima lettura, non appena smaltirò quelle attuali.
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Questa collana Tagli di Feltrinelli mi sembra piena di cose belle da esplorare.