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E ora, come sempre, schiaccia play e… buona lettura.
C’è un post di Instagram di
, persona e penna fonte di riflessioni sempre puntuali, che mi risuona in testa da giorni.Il tema è uno dei classici grandi cavalli di battaglia della nostra generazione: la totale abnegazione lavorativa (ma non solo) in cui “sentirsi stanchi è diventato un valore, un’unità di misura per definire il livello di performance nella nostra gara all’apparire. Apparire più indaffarati, con meno tempo per sé stessi e per gli altri.”
Il concetto di stanchezza, infatti, è diventato quel metro di paragone socialmente accettato e abusato che aiuta a identificare non solo quanto ci sentiamo realizzati ma, soprattutto, quanto sia diventata nevralgica per noi quell’attività che ci consuma ogni energia.
Ho ascoltato per anni amici pontificare su straordinari e orari di lavoro inconcepibili che facevano, mettendo in mostra una non meglio definita e cieca dedizione, così come sono cresciuta con l’esempio di un genitore completamente dedicato e sacrificato alla sua professione. Io per prima sento sempre quella spinta a fare meglio, a fare di più. A stancarmi di più. Non in vista di promozioni e aumenti di stipendio (capisci solo dopo anni e svariati lavori che sono temi che vanno affrontati senza vergogna alcuna) quanto perché ho sempre riversato sul mio lavoro una buona parte delle mie attenzioni.
Quale che sia la motivazione per la quale sentiamo la necessità di fare della nostra stanchezza un vessillo sociale resta fermo il fatto che senza di essa temiamo che possa crollarci anche quell’unica certezza che abbiamo faticosamente costruito (letteralmente). Vale soprattutto per chi fatica a trovare una quadra nella sua sfera più intima, trovando così nella professione un viatico tramite il quale concentrare le proprie energie mentali, fuggendo dalle proprie responsabilità nella sua vita privata e dalle relazioni.
Chiaro, essere single credo acuisca un simile stato mentale, ma è indubbio che sia qualcosa che impatti su chiunque a prescindere dallo stato civile. E come spiega sempre Jessica Cani, “nella maggior parte dei casi, sembra una questione lavorativa e invece è prettamente personale” sottolineando come “un conto è ritagliarsi periodi della propria vita mettendo al primo posto il sacrificio con l’intento di raggiungere un obiettivo, e un conto è vivere perennemente nel sacrificio, dove scontiamo pene che ci siamo autoinflitti e di cui, a un certo punto, non ricordiamo nemmeno più l’origine, vittime di noi stessi.”
Così da un lato ci troviamo preda di un senso di colpa che ci fa quasi mortificare della stanchezza che proviamo, che ci ha fatto dimenticare il potere salvifico dell’ozio (qui segnalavo non a caso un pezzo sul trend del bed rotting di cui sono comunque campionessa olimpica) e dall’altro riversare tutte le nostre energie su un aspetto specifico della nostra vita ci permette, appunto, di scappare dalle responsabilità che dovremmo avere anche in altri ambiti ma, soprattutto, verso noi stessi.
Come detto, attuiamo una vera e propria fuga da tutto quello sul quale sentiamo di non avere controllo o che, semplicemente, richiede cura, attenzione e tempo. Che siano le relazioni con gli altri o la cura della nostra persona.
Va’ detto che il tema della stanchezza può essere letto anche in direzione contraria. Conosco persone che per anni si sono dedicate in modo indefesso a una relazione personale, riversando su questa tutte se stesse oltre che tempo e fatica, proprio per non affrontare, ad esempio, il fatto che professionalmente parlando non erano realizzate e felici.
Quella relazione diventava così il centro di tutto, un vortice che permetteva con la sua forza centrifuga di scappare dall’insoddisfazione lavorativa per concentrarsi e stancarsi su altro.
Ecco quindi che la vera domanda non è tanto “perché ci stanchiamo così tanto” quanto “per cosa ci stiamo stancando”. Non è un tema di quanto sforzo stiamo mettendo in campo, a mio avviso essenziale nella vita se si vuole realmente costruire qualcosa di duraturo, quanto se non stiamo facendo pendere la bilancia verso una sola sfera della nostra vita a discapito di tutto il resto.
Che poi sono anni che si parla di work-life balance sui giornali, online, sui social o al bar. Ma la verità è che trovare un perfetto equilibrio richiede un lavoro su noi stessi che spesso è difficile da portare avanti con costanza. Significa avere la lucidità e l’onesta di ammettere e riconoscere da cosa stiamo fuggendo e lavorare per affrontare quello non funziona. Dedicarsi alla propria relazione, lavorare con la giusta grinta e attenzione, tenersi mentalmente e fisicamente in allenamento, sono tutti pezzi di un puzzle più grande. La vita che vorremmo e che ci immaginavamo e che spesso, cozza con la realtà nella quale siamo immersi e che viviamo quotidianamente.
Ecco allora che la stanchezza diventa centrale per dare un senso ai nostri sforzi e a quei tentativi di assomigliare quanto più possibile alla migliore versione della vita che avevamo sempre immaginato per noi. Ma dovrebbe restare uno termometro per misurare a che punto siamo con determinati obiettivi e non una scusa per restare fermi, nascondendo sotto un tappeto invisibile tutto quello che ci spaventa cambiare. Per paura di non riuscirci o di restare intrappolati in una vita che non ha sapore e odore.
#ItsFridayImNotInLove
💌 Modern Love
Dalla rubrica settimanale del New York Times “Modern Love” (da cui è tratta la serie disponibile su Amazon Prime)
Si può credere all’affinità segnalato dall’algoritmo di un’app di dating e lanciarsi in una relazione nonostante le differenze religiose e culturali? A volte esistono e accadono unioni improbabili ma preziose. Anche se il finale non è sempre quello che immaginiamo, come racconta nel suo Modern Love Marième Daff.
“For a long time, I felt immensely proud that their father and I had taken this giant leap of faith and landed where we did, neither of us compromising our beliefs while having a genuine acceptance of each other’s.
But as fate would have it, this was not the end of our story.”
📌 Post-it del venerdì
Single, dating, coppie e relazioni. Gli articoli della settimana per districarsi nel precariato sentimentale
Con la cosiddetta dating fatigue sempre più marcata, forse cancellare le app di incontri e trovare il romanticismo offline potrebbe non essere così spaventoso come si crede. Ma come fare e da dove partire?
TikTok ospita una delle industrie online più influenti e in rapida crescita: la disinformazione sulle relazioni ad opere di diversi “dating influencer”. Eppure possiamo davvero fidarci di video e reel di consigli discutibili che diventano virali?
Che il trend dell’estate sia quello di tornare insieme con un ex? Sebbene possa sembrare rischioso e spesso non duraturo, il consiglio sembrerebbe essere quello di approfittare dell'estate per divertirsi e fare scelte romantiche senza pensare troppo al futuro.
Il romanticismo è in crisi, in buona parte per colpa di vari fattori come le app di incontri, la pandemia e il capitalismo. Eppure i problemi nelle relazioni sono radicati in questioni più profonde e storiche.
🎙️ Mixtape e altre storie
Consigli (non) richiesti su come perdere tempo la sera
Ho finito Lady Jane Grey in tre giorni lanciandomi, dopo parecchio tempo, nella visione senza sosta di una serie tv. Otto episodi che partendo da un “What If” rileggono la storia di Jane Grey, Regina d’Inghilterra per soli nove giorni all’epoca dei Tudor. Sboccata, ironica, provocatoria, a tratti pulp con un tocco fantasy e una colonna sonora rock pazzesca. La risposta in costume che ci meritavamo a Bridgerton, dove nulla va come ci si aspetta. Assolutamente da vedere e disponibile su Amazon Prime Video.
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Grazie per la menzione Alessia, sempre bello leggerti e sempre bello constatare quanto tanti di noi e sempre di più si interroghino sulla preziosità del proprio tempo